Isolare gli ultra-ottantenni permetterebbe di dimezzare o quasi la mortalita’ diretta del virus. E se si riuscisse ad isolare efficacemente gli ultra-sessantenni, la mortalita’ scenderebbe allo 0,07%, circa dieci volte inferiore. E’ la stima contenuta in una analisi dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, secondo cui “la mortalita’ totale nel corso di un anno solare in Italia aumenterebbe del 71% senza isolamento, ma solo del 18% con isolamento degli over70, e appena del 7% con isolamento degli over-60”. “Ogni nuovo lockdown – scrive il ricercatore Matteo Villa – mette a rischio la stabilita’ finanziaria e, in poche parole, il futuro del nostro Paese. Allo stesso modo, e’ risaputo che non si possa neppure fare affidamento sulla cosiddetta ‘strategia dell’immunita’ di gregge’, ovvero lasciare il virus libero di circolare fino al raggiungimento di quella quota di popolazione gia’ contagiata e ormai immune che rallenterebbe la circolazione virale fino quasi a fermarla. Questa quota si aggira intorno al 70% della popolazione: nel caso italiano, cio’ implicherebbe circa 42 milioni di contagiati e tra i 430 mila e i 700 mila decessi in piu’ per il solo obiettivo di rallentare la circolazione virale. Senza contare la pressione sul nostro sistema sanitario: e’ probabile che le persone che necessiterebbero di cure in terapia intensiva sarebbero circa 110 mila”. Da qui l’idea (“non una panacea”, ammette Villa) “dell’isolamento selettivo delle fasce di popolazione piu’ a rischio”. Anche dal punto di vista economico, un lockdown selettivo per fasce d’eta’ “permetterebbe di evitare i contraccolpi piu’ severi. In Italia nel 2019 la forza lavoro era composta da 25,9 milioni di persone. Di queste, 2,3 milioni (il 9%) erano ultra-sessantenni.
Salendo di soli cinque anni, i lavoratori ultrasessantacinquenni si riducono gia’ a circa 600 mila persone (il 2,4% del totale), mentre se considerassimo solo gli ultra-settantenni ci fermeremmo a circa 130 mila (lo 0,5% del totale). Oltretutto, per una certa fetta di queste persone isolamento non deve necessariamente significare assenza di lavoro, perche’ rimarrebbe disponibile l’opzione del remote working (che sarebbe comunque cruciale estendere all’intera forza lavoro”. Un lockdown selettivo di questo tipo allevierebbe molto la pressione anche sul sistema sanitario nazionale: “i numeri dimostrano che, isolando in maniera efficace gli ultra-sessantenni, si potrebbe ridurre di quasi i tre quarti la pressione sul Sistema sanitario”.
Molti invece i dubbi sul fatto che eviterebbe l’infezione.
“Innanzitutto – si legge nell’analisi – all’aumentare della circolazione virale nella popolazione generale diventa sempre piu’ difficile isolare le fasce d’eta’ a rischio, perche’ il ‘contatto zero’ non esiste e aumenta la probabilita’ che i seppur scarsissimi contatti tra la popolazione isolata e quella che puo’ liberamente circolare provochino infezioni all’interno della popolazione isolata. In secondo luogo, si pone un problema logistico: come isolare? Molte persone anziane vivono assieme a persone piu’ giovani, e piu’ della meta’ di loro vive entro un chilometro di distanza dai propri figli. Possiamo essere sicuri che queste persone accetterebbero di buon grado di auto-isolarsi, non vedendo neppure i propri figli, se non per piccoli periodi di tempo?”. Senza contare che “resterebbe da capire se gli anziani stessi accetterebbero di restare in isolamento in attesa di un vaccino efficace, mentre il resto della popolazione continua a muoversi, a lavorare e, in definitiva, a vivere”. In conclusione, scrive Villa, “malgrado tutti i caveat discussi, e’ a nostro parere sbagliato ritenere che quella dell’isolamento selettivo sia un’opzione da scartare o da non considerare a priori. La consapevolezza che l’isolamento selettivo non possa essere ‘la’ soluzione, ma soltanto una tra le diverse possibilita’ da valutare, non dovrebbe impedirne una serena (ma urgente) discussione”.