Orate, spigole ma anche polpi e vongole che arrivano sulle nostre tavole senza essere tracciati. A lanciare l’allarme è un articolo sul dorso locale di Repubblica, nel quale si racconta il mercato parallelo dei prodotti ittici nel Lazio. Prodotti di cui non si conosce la provenienza, che sfuggono ai controlli di Asl e Nas e che vengono venduti a prezzi ribassati, ma con non pochi rischi per la salute.
La percentuale del pescato commercializzato in nero nella Regione – scrive Repubblica – è di circa il 25 % del totale, proveniente dalle marinerie laziali dove, appena sbarcato, viene venduto già nei porti e quindi non segue l’iter corretto della tracciabilità e dei canali ufficiali. I prodotti più comunemente oggetto delle vendite in nero sono quelle speceie (spesso scampi, gamberi rossi, calamari e pesci di grande taglia quali spigole e orate di mare) destinate per lo più alla ristorazione che a volte richiede qualità e pezzature difficili da trovare e che quindi hanno prezzi maggiori. Il solo fatto che non si paghi l’Iva su un prodotto pescato, che è del 10%, vuol dire abbattere il costo al chilo anche di 5/6 euro moltiplicato per il quantitativo annuo. Per non pensare agli oneri dei controlli ufficiali, ai costi del rispetto della catena del freddo e dei depositi a norma.
C’è poi il tema dei pesci di allevamento. In molti mercati rionali, nell’articolo si cita quello di piazza Vittorio a Roma, nei banchi debordanti di merce nessuna traccia della provenienza, con prodotti importati dagli allevamenti di Turchia, Grecia e Croazia: orate di 4 mesi – scrive Repubblica – fatte crescere fino a 6 etti con estrogeni. In Italia a differenza dell’estero, per gli allevamenti c’è un limite agli estrogeni che possono essere somministrati. Lorenzo, pescivendolo da generazioni le vende a 14 euro al chilo, i suoi concorrenti le
fanno meno della metà.