“L’obiettivo è proseguire a Colosseo-Fori Imperiali, a piazza Venezia, poi con una fermata su corso Vittorio Emanuele tra piazza Navona e Campo de’ Fiori, poi a San Pietro-Ottaviano, a piazzale Clodio e fino, perché no, a Farnesina, con una grossa area di scambio. Si toglierebbe la deviazione iniziale all’auditorium, e la zona dell’Auditorium sarà servita dal tram”. Con queste parole, a maggio, il presidente della Commissione Mobilità di Roma Enrico Stefàno delineava al road map ideale per la Metro C. Parole e idee chiare che dimostrano come l’indirizzo politico dei grillini romani – oggi – sia favorevole a uno sviluppo infrastrutturale della Capitale che dia ai cittadini nuove stazioni e forse nuove linee metro.
Ma in passato non era così. Anzi.
Questo tweet, risalente al 2013, testimonia l’adesione del M5S di Roma a una petizione che chiedeva l’immediata chiusura dei lavori per la tratta T3 della Metro C, San Giovanni-Fori Imperiali:
Siamo nell’epoca di Ignazio Marino e la posizione dei pentastellati era quella di opposizione alle grandi opere. Opere che, si legge nella petizione, in quei luoghi possono “essere realizzati con catastrofici punti di non ritorno per la cultura, per la salvaguardia delle persone e per la civiltà”.
Oggi la prosecuzione della Metro C non solo non lede la “civiltà” ma è bene che vada avanti anche in altri quadranti cittadini. La posizione da forza di governo espressa da Stefàno è giusta e va nella direzione di uno sviluppo infrastrutturale di Roma che appare fondamentale per una rinascita di Roma sul fronte della mobilità. Ma l’adesione alla petizione online lanciata da un architetto – nonostante il magro bottino di 270 sostenitori – è esempio di come le posizioni ‘di lotta’ e quelle ‘di governo’ possano confliggere e generare contraddizioni ed equivoci.