Per uccidersi, dopo aver ucciso, ha avuto bisogno di sentirsi protetto tornando nella sua casa e fra le sue cose quotidiane.
Così è finita la strage di Ardea e nessuno saprà mai perché si é compiuta.
Quattro morti e il silenzio della ragione.
E per ragione intendiamo, anche, il nostro approccio all’evento “diverso”, drammatico e disumano che ci stordisce solo quando arriva a compimento e al cui sviluppo abbiamo girato le spalle.
Adesso che sono tutti morti la colpa ricade, in parte, anche su di noi che abbiamo sposato un clima e un atteggiamento morale di totale menefreghismo.
Insomma l’assassino aveva dato chiari segni di squilibrio e instabilità. Anche la sua famiglia era conosciuta come fonte di molestie e degrado. Un quadro a guardarlo ora di totale alienazione dal resto della società. Talmente “strani” e forse pericolosi da essere vigilati da una persona del comprensorio. Ma niente di più.
Gente dalla quale stare alla larga e da “dimenticare”. Niente di più, appunto.
Non abbiamo saputo (coscientemente) prestare la giusta attenzione e il giusto peso al puzzle, che si andava formando, in una personalità malata.
E poco ci voleva ad avvisare i servizi sociali o a compiere tutti i passi necessari per un Tso.
Ai funerali delle vittime di Ardea, i nostri applausi e le lacrime sulle bare bianche saranno un vero insulto al buon senso e al dovere civico.
Questo menefreghismo imperante ci tappa le orecchie alle urla dei vicini, alla violenza fine se stessa, alla voglia di spaccare tutto pur di negarlo, all’inciviltà che è preambolo al botto finale.
Se siamo colpevoli della rovina ambientale, tanto più lo siamo dell’agonia della sostanza della società.
E una società vuota, senza cultura né anima é la deriva sicura e rapida.