Finirà nel 2023 l'annosa questione dei rinnovi delle gestioni degli stabilimenti balneari. Ed è ora perchè versano pochissimo allo stato e hanno canoni d'uso molto elevati. Si mette di traverso il centro destra senza proporre alcuna soluzione fattiva
Si riaprono gli ombrelloni lungo le spiagge italiane e come da copione riparte l’annosa questione della riassegnazione tramite gara delle concessioni balneari.
Si sottolinea nuovamente il ridicolo importo che gli stabilimenti versano in qualità di “affitto” allo Stato calcolato mediamente in circa 5.000 Euro/anno.
E’ una vecchia storia che va avanti da anni e che lascia alla fine il tempo che trova, perchè se consideriamo che in Italia ci sono circa 30mila stabilimenti lungo gli 11mila chilometri di costa ben si capisce quale fonte di voti politici si nasconda fra la sabbia e le sdraio. E’ questa una delle principali ragioni del traccheggio annoso sulla riassegnazione dei lidi e sull’aumento delle concessioni.
Il Consiglio di Stato ha annullato la proroga al 2033 e imposto le gare entro due anni. Il termine ultimo dovrebbe essere il fatidico 31 dicembre 2023, anche per evitare una procedura di infrazione da parte della Ue che già più volte, su questo punto, ha richiamato l’Italia.
Va ricordato che le coste sono proprietà del demanio pubblico quindi pubbliche e di conseguenza di tutti. E da questo concetto basilare discende la logica necessità che vengano stabilite delle tariffe idonee per l’uso da parte degli stabilimenti.
Sulla questione dei balneari si spacca la maggioranza con il centro destra, nella figura di Salvini che, lancia in resta, difende lo status quo come se la legge sulla concorrenza e sul naturale ricambio fossero cose del diavolo.
Il capo leghista si dimostra seriamente preoccupato e strenuo difensore per i posti di lavoro che, in caso di cambio di gestione, potrebbero andar perduti ma tace sul fatto che esiste l’impegno inderogabile che prevede l’automatica riassunzione di tutto il personale operante in quel determinato bagno.
E’ ben evidente che gli interessi di parte (politica) rischiano di aggrovigliare e stoppare l’iter avviato dallo stremato Draghi che avrebbe ben altre cose a cui pensare senza perdere tempo ed energie fra le sabbie mobili di un problema di logica conclusione.
Per chi ama il mare si aprono scenari bui perchè, e possiamo esserne certi, che le già proibitive tariffe balneari vedranno una nuova impennata per rifarsi dell’aumentato canone d’affitto. E’ la solita solfa, alla fine paga sempre l’ultimo della fila che resterà anche questa volta col cerino in mano.
Non è dato di sapere quanto gli stabilimenti incassino ogni anno e anche ammettendo che fatturino tutto, Nomisma fa una stima di circa 15 miliardi. Naturalmente i sindacati di categoria, generalmente silenti, rilanciano con un solo misero miliardo. Questi organismi ci dovrebbero spiegare come con miliardo lordo possono campare circa 30mila famiglie più tutti gli operatori del settore.
Ed è di fronte a queste baggianate raccattavoti che al vacanziero salta la mosca al naso.
E quest’anno la mosca sarà ancora più fastidiosa perchè, caduti in gran parte i richiami alla prudenza e al distanziamento torneremo a vedere sulle nostre spiagge l’accrocco di ombrelloni che si sormontano e di sdraio tanto vicine da non consentirti di aprire il giornale.
Il centro destra se proprio deve fare opposizione la facesse almeno in modo costruttivo accettando le nuove gare e i nuovi affitti ma vincolando i gestori dei bagni a determinati obblighi volti al buon mantenimento del litorale, evitandone il più possibile l’erosione (con continui riporti), alla pulizia del mare/lago antistante la battigia, al controllo quotidiano dello stato di nettezza della spiaggia. Sarebbe un buon compromesso che farebbe bene allo Stato, finalmente in grado di incassare, all’ambiente controllato e difeso e al vacanziere non più obbligato a nuotare scansando cotton fioc e mozziconi di sigaretta.