“Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità” (Tommaso Marinetti da Le Figaro 1909) e se, decisamente e coralmente, lo spirito dei futuristi si condensava in questa spinta profonda e totalizzante, non possiamo che constatare che con la mostra “Il Tempo del Futurismo” alla Gnam di Roma questi artisti hanno raggiunto il punto più alto del loro pensiero.
La mostra ha vissuto fin da subito vari tumulti capaci di minarla in modo assoluto: ministri decaduti e nuovi ministri presi al volo, liti fra curatori, allestimenti discussi e discutibili e primo fra tutti il retropensiero politico che ha fatto emergere la miseria culturale e la malafede di molti pensatori e opinionisti. Ora si vocifera, addirittura, di un possibile ritiro da parte di alcuni collezionisti delle opere in esposizione a causa di una severa mancanza di sicurezza della GNAM dove pare che le condizioni interne della struttura siano quantomeno degradate e quindi pericolose per le persone e per le stesse creazioni artistiche.
La storia delle mostre sul futurismo è molto lunga e ha saputo travalicare un’attribuzione di tipo politico tranne per questa in corso a Roma. Tanto si è discusso sulle manifestazioni del movimento in ogni singolo campo: pittura, musica, moda e perfino cucina ma, sempre in chiave dei canoni estetici rappresentati.
Nel 1912 l’Europa conobbe l’opera dei Futuristi attraverso una mostra itinerante di dipinti di Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo e Gino Severini, che, dopo la Bernheim-Jeune Gallery di Parigi, visitò anche Londra, Bruxelles, Berlino, L’Aia ed Amsterdam.
Da parte nostra nessuna ostentazione da critici d’arte dell’ultimo minuto ma, l’intento di tracciare una netta separazione dalla deriva che impone di leggere questa arte in chiave di schieramento politico.
Diceva Orson Welles: “In Italia per trenta anni sotto i Borgia ci sono stati guerra, terrore, criminalità, spargimenti di sangue. Ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo, il Rinascimento…
E’ mai possibile che ad oggi invece ci sia un arretramento, anche nella visione dell’arte, tale da ricondurre tutto ad ideologie e passati storici?!
Nei primi anni del ‘900 l’Europa artistica è travolta da un’incredibile varietà di nuovi movimenti creativi: Espressionismo, Futurismo, Dadaismo e Surrealismo che si succedono fino alla seconda metà degli anni Venti. Potremmo (e sarebbe corretto) chiamarli “avanguardie” ma pure su questo termine solleveremmo, di certo, discussioni e deprecabili insinuazioni.
Teniamo presente, comunque, che il futurismo fu parte attiva di una società in fase di crescita e sviluppo, una società che si affacciava all’industrializzazione, all’inurbamento e a una rigenerazione totale.
Un’avanguardia sempre in movimento senza limiti di spazio e di tempo; se poi Benito Mussolini, figlio di quegli anni, ne trasse qualche spunto per il nascente fascismo è cosa che esce dalla volontà degli artisti
foto d’apertura: Antonio Fiore Ufagrà ’22 – Infinito Universo – collezione privata