La nostra salute a rischio con i cibi processati

Carrelli pieni di cibi attraenti e pronti all'uso. Ma dentro cosa c'è? Gli studi ci mettono in guardia dai loro componenti che mai usiamo nella cucina classica. Buoni ma diabolici perché mettono a serio rischio la nostra salute

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Gli scaffali dei supermercati sono diventati mondi ricchi di cose belle, attraenti, golose e soprattutto pronte all’uso. Così, anche sull’onda di pubblicità martellanti, con la certezza di spendere meno tempo in cucina e la certezza di gratificare ogni palato prendiamo e mettiamo nel carrello, con l’unica accortezza di controllare la data di scadenza.

Il gioco è fatto, perché nel nostro carrello finiscono: biscotti, merendine, primi e secondi pronti/surgelati, sughi, bevande zuccherate e gasate, verdure lavate e tagliate, dolci e dolcetti di varie tipologie. A ben guardare tutti cibi ricchi di grassi, sale e zucchero, ma allo stesso tempo poveri di vitamine e fibre. Per quanto attenti alle specifiche dei componenti del prodotto non siamo in grado di capire realmente la portata del danno che facciamo alla nostra salute. Perchè tutti quegli additivi, conservanti, coloranti e grassi noi nel menù casalingo non li metteremo mai.

Questo articolo va a sommarsi a tanti altri che supportati da importanti studi puntano il dito contro i cibi ultraprocessati che ad ogni passaggio di lavorazione si arricchiscono di ulteriori ingredienti malefici. Questi alimenti, oltretutto, vengono elaborati in modo tale che il loro elevato indice di gradimento li renda quasi indispensabili e da bissare all’infinito.

Due studi pubblicati sul British Medical Journal stabiliscono che la loro diffusione è in grado di determinare un aumento dei tassi di mortalità: in particolare dovuto a problematiche cardiovascolari, senza contare l’innalzamento della glicemia, del colesterolo e del rischio certo dell’aumento di peso fino all’obesità.

Basterebbe seguire qualche minuto di una puntata di “Vite al limite” (Real Time) per provare stupore e disgusto alla vista delle quantità e qualità dei cibi che questi poveri sciagurati ingurgitano senza soluzione di continuità.

Un altro studio ha evidenziato quattro categorie di cibi: gli alimenti non trasformati (frutta, frutta secca, semi, verdura, cereali e farine derivate, legumi, tuberi, carne, pesce, frutti di mare, uova, spezie, té, caffè, yogurt e succhi senza zuccheri aggiunti), gli ingredienti culinari (sale, zucchero, miele, oli vegetali, burro, aceto), gli alimenti trasformati (conserve di verdure e legumi, noci e semi salati o zuccherati, carni lavorate, pesce in scatola, frutta sciroppata, formaggi, pane e patate fritte), gli alimenti e le bevande ultra-trasformati (che prevedono anche l’aggiunta di additivi con funzione stabilizzante e conservante)*.

Ma dove sta la colpa di questa virata nelle nostre abitudini alimentari? Tante sono le concause: la maggior occupazione femminile fuori casa, la necessità di quasi tutti i lavoratori di una pausa pranzo al volo e non certo al ristorante, il martellamento smodato della pubblicità e, non ultimo, il desiderio di spendere del tempo per sé e non in doveri casalinghi.

Ma il cambio alimentare cui stiamo assistendo non ci porta a nulla di buono e preoccupa il mondo scientifico tanto che per molti ricercatori sarebbe opportuno pensare a delle norme per frenare il consumo di cibi ultraprocessati. Dovrebbero essere imposte restrizioni alla pubblicità di questi prodotti e un divieto di vendita nei pressi di scuole e ospedali, così come fatto per il fumo e per le slot machine. Insomma un pericolo cui porre in qualche modo un freno

Studi Nova

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