Le vecchie parolacce sono quasi cancellate dal continuo bestemmiare dei ragazzi. E' un'abitudine e una moda trasversale che attraversa tutte le classi sociali. Ti rispondono che non credono in dio e che lo fanno tutti. E' un rafforzativo da tirare in faccia alle famiglie, per lo più impotenti, sperando di essere contrastati e ascoltati
Nel 1976 il prof Umberto Galimberti, durante un’intervista, sosteneva che uno studente di media superiore conoscesse, circa, 1500 parole, mentre nel 1996 (quindi vent’anni dopo) il vocabolario si era ridotto a soli 650 vocaboli. E oggi? Oggi ancora meno, se leggiamo le loro tesi o, peggio ancora, ascoltiamo i loro discorsi.
Passare vicino ad un gruppo di ragazzi/e, che siano maranza o gruppi appena usciti da scuola, non fa differenza. Il linguaggio è praticamente identico: una mancanza quasi totale di colloquio a favore di un intercalare di parolacce che viene ripetuto all’infinito quasi come sostituzione di vocaboli e capacità di elaborazione del pensiero logico.
Se a certe volgarità ci siamo in parte abituati quasi facessero parte di modi dire quotidiani, ad altre ci ribelliamo con un fastidio profondo che sfiora il sobbalzo che vorrebbe spingerci a reagire in modo esplicito. Parliamo della bestemmia; che declinata in vari modi e con diversa forza è diventata occasione e poi abitudine.
Bestemmiano tutti i ragazzi, che discutano o che facciano i tuffi in mare e questo a prescindere dalla classe sociale, dall’ambiente familiare o dagli studi intrapresi. Per loro la bestemmia è un fatto assodato dove la divinità c’entra fino ad un certo punto se non con la giustificazione che non credono e che, quindi, dio è pari a quasiasi altro soggetto, bestemmiano perchè lo fanno tutti, bestemmiano perchè così facendo rimarcano la gravità del problema che immaginano venga lenito dall’imprecazione. Bestemmiano fra di loro ma, il tragico è che bestemmiano anche in casa dove i genitori impietriti sono totalmente inadeguati a fare muro. Una volta esistevano i benedetti calci nel sedere che davano la misura dell’azionaccia, oggi non più, sostituiti da babbi e mamme succubi dei rampolli per i quali al massimo sfoderano un’arruffata dialettica dal sapore psicologico. Famiglia spaccata dalla forza dell’involuzione di piccoli e grandi.
La rabbia dei giovani (e chiediamoci perchè) è un’emozione pesante e nauseante che non potendo (per fortuna) concretizzarsi esce urlata e odiosa nell’inconscia speranza di uno scontro familiare risolutivo.
La bestemmia diventa un gesto di assoluta gratuità, che prescinde anche da come si dice e a chi la si dice. Un gesto di rabbia pura che segue un filone di linguaggio alterato e imbarbarito.
Fino al 1999, bestemmiare era un reato. Attualmente, l’imprecazione rivolta ad una divinità non configura un reato, ma costituisce un illecito amministrativo. In particolare, l’art. 724 c.p. punisce il soggetto che pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la divinità. Il bestemmiatore va incontro ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 51 a 309 euro.
Pensate, però, a che punto di degrado culturale e cognitivo siamo finiti; c’è in circolazione tutta una serie di libri sulle bestemmie, da quello da colorare a quello tipo parole crociate, da quello che ne fa la storia a quello che te ne insegna di nuove adatte alle varie situazioni. Si vendono bene queste porcherie e ad ogni libro acquistato noi perdiamo in dignità e potere